domenica 30 gennaio 2011

Il signor Renè


Domenica di blocco del traffico a Milano. Di quelle in cui se si sta a casa ci si sente ovattati in un silenzio di neve e di “dove sono andati tutti?”; se si esce ogni cosa è ferma e ci si sente dentro ad un plastico.
Scendo a prendere il giornale (l’edicola sarà già chiusa visto che è la una), torno indietro piano piano cercando di interpretare ogni singolo dolorino passo dopo passo (per me può nascere in qualsiasi momento. Sto aspettando)


Appoggiato alla clér serrata del bar di Mimmo, un signore anziano si regge a stento in piedi e respira con affanno. Io sono dall’altra parte del marciapiede e aspetto un po’ per vedere se si riprende.
Attraverso la strada.
Mi avvicino.
“Signore, ha bisogno di aiuto?”


Ha gli occhi lucidi, che a momenti traboccano di lacrime e di colpi di tosse da poco passati. Non mi parla ma con la mano fa cenno di no.


“Ma è sicuro? Vuole che chiami qualcuno? Si lasci aiutare, l’accompagno”


Lui mi indica la mia pancia. Come per dire. “Come faccio a chiedere una mano ad una donna che dovrebbe essere assistita più che assistere”
Mi da il la. Ci riprovo.
“Ecco, proprio perché siamo in tre e cammineremo piano piano. Dove abita, signore?”
Mi risponde con voce roca e rotta dall’affanno che abita nella via affianco, a pochissima strada
Lo prendo sottobraccio e ci incamminiamo.


“Meglio morire. Ad ottant’anni meglio morire che rimanere in vita conciati così”

Come attacco di conversazione non è male.
Cerco di dare una risposta positiva e ottimistica ("magari è un momento così, poi si riprende e starà bene…") e nel mentre mi rendo conto che non c’è molto da dire, che non so cos’ha, e che forse ha anche ragione.
Camminando si riprende un po’, e come ogni vecchio che si rispetti inveisce contro la gente che chiede solo favori e lui che ha fatto tanti favori alla gente e le poche volte che ha chiesto, mai gli è stato dato.
Questa riflessione lo riempie d’ira, mi indica il Bar Babilonia, chiuso come tutto oggi.
“Vede questo? Questo è uno stronzo!” e tira una manata poderosa contro la saracinesca del negozio. Io sobbalzo, e tenendolo sotto braccio aumento il passo.
Direi che il signore si è ripreso e che quelli del Bar Babilonia non gli stanno molto simpatici.

Proseguiamo e arriviamo al suo portone. Abita lì da 38 anni. Lui ha la chiave. Riesce ad inserirla tranquillamente nella toppa. Gli chiedo se ha tutto a casa, se gli serve qualcosa.

Si volta, mi sorride, gli occhi ancora bagnati di vita e di fatica, mi sfiora la guancia con una carezza di ottant’anni, come quelle che mi dava il nonno Mario e sorridendo mi dice:

“Io mi chiamo Renè”.


Io mi chiamo Roberta. In bocca al lupo Renè.


E così in questa domenica interrotta io ed acino abbiamo portato a casa il Signor Renè.


La vita che incontra la vita.
Poco prima del momento che ne segna il miracoloso principio e poco prima del momento che ne segna la fine desiderata.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Nulla accade mai per caso!